2008 Fuori dal Mucchio

Tenedle è Dimitri Niccolai, fiorentino, 20 anni di attività alle spalle. Di recente ha prodotto un album (“Alter”, il suo terzo da solista, pubblicato dalla UdU/Audioglobe) sincero, privo di compromessi, intelligente e al tempo stesso godibile. Una volta contattato al telefono, abbiamo scoperto quanto le qualità del disco siano il riflesso dell’artista.

Partiamo dal titolo di questo nuovo lavoro. “Alter” è una parola dai molteplici significati…
Il titolo è nato prima ancora del disco. Avevo questa parola in testa da un po’ di tempo. “Alter” come “Altro”, ma anche come “Alternativo”, oppure “Vecchio saggio”, in tedesco. Mi piace giocare con le parole, usare la fantasia per parlare della mia vita e degli altri. Nel disco c’è un continuo rimescolio di vicende personali, notizie pizzicate dai giornali, articoli che ritaglio e su cui scrivo; una continua mescolanza di significati e una tendenza a confondere o perlomeno a far riflettere, in modo che chiunque lo ascolti possa metterci del suo.

Leggendo diverse recensioni del disco, si è usata come pietra di paragone la scena new wave in Italia, ma ad uno sguardo più attento, si notano anche evidenti punti di contatto con il cantautorato italiano. Come concili queste due correnti?
In un periodo della mia vita queste due influenze mi hanno creato qualche problema. Negli anni ’80, quando ho iniziato a suonare musica elettronica, eravamo patiti per la musica dark, la new wave, però mi piacevano anche cantautori come Tenco, Bindi, Ciampi. Avevo vere e proprie crisi di coscienza! Poi arrivò un disco di Steven Brown dei Tuxedomoon (“Brown Plays Tenco” del 1988) e capii che una convivenza del genere era possibile. Io amo il suono particolare, che venga da un sintetizzatore o da una chitarra sbattuta per terra, ma sotto il profilo della melodia, sono i “vecchi” cantautori che mi appassionano maggiormente.

E quando componi, quale delle due cose è il tuo punto di partenza?
Quando decido che è il momento di scrivere un disco, in genere ho già collezionato una serie di appunti scritti e ritagli di giornale che mi permettono di scrivere i testi, ma lo stimolo me lo da in prevalenza la musica, la voglia di sentire qualcosa di prettamente musicale. Non scrivo canzoni seguendo la rima. Penso alla parte strumentale, immagino una storia e solo dopo ci adatto quanto ho scritto nei mesi precedenti.

Pur arrivando in un secondo tempo i testi non sono affatto banali. La tua scrittura è essenziale e al tempo stesso profonda, ma dopo questa risposta sembra quasi tu voglia sminuire il Tenedle scrittore…
Questo mettere le mani avanti dipende dal fatto che nasco più musicista che scrittore. Ho sempre paura di quello che dovrò dire. Non sminuisco assolutamente il mio ruolo di autore dei testi, ma proprio perché do alla parola un grande valore, ho una certa paura a parlarne in maniera sicura. Per “Alter” sono contento del risultato perché nel poco spazio che avevo all’interno delle canzoni sono riuscito a dire quasi sempre quello che volevo. C’è un grande lavoro dietro: questo scrivere appunti e poi ricomporli, tornare a quello che volevo dire, è un lavoro impegnativo. Grazie alle recensioni, questo lavoro sta venendo fuori. Qualcuno in passato mi aveva consigliato di prestare meno attenzione ai testi e invece mi sto rendendo conto che per il mio tipo di messaggio, testi importanti e musica ricercata sono una combinazione che mi sta ripagando.

Eppure anche l’artwork sembra volerli sacrificare.
Il mio precedente lavoro (“Luminal”) è stato un disco più cantautorale da cui volevo staccarmi. Con questo album ho voluto porre maggiore attenzione sulla produzione musicale. C’è un filo di presunzione in questo tipo di scelta, ma in un certo senso è una sfida ad un ascolto più attento. Oggigiorno non so più chi ascolta i dischi, quanti li ascoltano per intero. Il disco è un’opera e mi piace pensare che, almeno una volta nella vita, le persone si prendano un’ora  del proprio tempo per ascoltarlo tutto.

“Alter” ha 21 canzoni in scaletta, mentre in generale la tendenza degli ultimi anni è di produrre dischi più brevi, forse per venire incontro all’assimilazione e alla digestione di un album, attualmente ridotte ai minimi termini. Il tuo è un rischio consapevole?
Ora come ora è tutto rischioso, non c’è nessuna garanzia. Non vende più nemmeno gente come Eros Ramazzotti. I dischi li concepisco come dei piccoli film; questo film aveva bisogno di questi pezzi. Sicuramente è scomponibile, lo si può affrontare anche in maniera “pop”, ascoltando singoli brani, grazie a MySpace e ai passaggi in radio, però il disco c’è e doveva esserci. Come dicevo, “Alter” è un film e il rituale dell’ascolto del disco va vissuto in tal senso. Ci si siede, possibilmente in cuffia e si fa un viaggio notturno, con un inizio e una fine.

Un film piuttosto cupo…
Mi è stato fatto notare che rispetto ai dischi precedenti dischi, i testi di “Alter” sono molto più scuri. Non emerge in maniera esplicita, ma l’album parla in buona parte di suicidi di adolescenti. Solitamente riesco a sdrammatizzare il brutto che c’è in giro e quando si tratta di me stesso credo di essere sempre abbastanza ironico. Se mi guardo intorno, però, vedo che soprattutto per i giovani non è un bel periodo. Crescono in un mondo che non offre loro nessuna possibilità e al riguardo c’è ben poco su cui fare ironia. Scherzare sul dolore altrui è sicuramente più difficile e questo si riflette sui testi. Personalmente non ho paura di passare per persona depressa; amo la bellezza, la letteratura, l’arte, ma il dolore è parte integrante della vita di una persona.

Si è parlato di ascolti notturni, di viaggi individuali. “Alter” non si presta ad atmosfere live, più collettive?
Al momento ho in programma diverse date, ma si tratta di lavori teatrali e non della promozione del disco. Per “Alter” ci sarà solo una data a maggio a Firenze e sarà comunque abbastanza particolare poiché inviterò autori emergenti e amici del passato a rileggere i miei brani. La situazione dal vivo in generale è abbastanza pietosa. Per i budget e per le organizzazioni che ci sono nei locali, non riuscirei a proporre quello che ho in testa, offrendo un concerto come si deve, supportato da una band. La cultura, in Italia, ci rema contro…

di GIOVANNI LINKE