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Con un disco dedicato alle poesie di Emily Dickinson, Odd to love, Dimitri Niccolai, in arte Tenedle, è arrivato al sesto disco di una carriera eclettica e multiforme. Lo abbiamo intervistato.

Puoi raccontare la tua storia fin qui?

Ho pubblicato sei album con il nome di TENEDLE, il mio pseudonimo, in ordine Psicfreakblusbus 2003, Luminal 2005, Alter 2007, Grancassa 2010, Vulcano 2014 e Odd to love, l’ultimo, uscito lo scorso settembre sotto la mia indipendentissima etichetta, Sussurround, parentesi in inglese su poesie di Emily Dickinson. Poi o meglio prima e in mezzo ho scritto musica per teatro, film e danza, ho prodotto un paio di dischi. Molto molto prima, quando ho iniziato avevo una band con cui facevamo elettronica con i midi e computers che sembravano cassettoni. Sono “fatto” di musica.

Che cosa ti ha spinto a fare un disco intero dedicato alle poesie di Emily Dickinson?

Ho scritto le prime canzoni su Dickinson a vent’anni e le ho tenute a lungo nel cassetto per timore di non essere all’altezza. Adoro l’universo della poetessa americana e venero quasi ogni suo verso. A un certo punto queste canzoni hanno cominciato a uscire dal cassetto e chiedermi di essere suonate. Chi le sentiva rimaneva colpito e me ne chiedeva altre.

Nel settembre del 2014 ho provato a entrare nuovamente nel suo mondo e le cose non sono andate male, ho composto per prima I cannot dance upon my toes e via via il resto. Grazie ai consigli e al sostegno di artisti amici “sensibili” di cui mi fido, ogni cosa nella mia mente ha preso forma e ormai ha senso. Mi sono fatto un regalo e l’ho fatto a chi mi segue da tempo e sa che non ripeto quasi mai la strada presa con il lavoro precedente. Sono contento.

Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nel realizzare il disco, se ci sono state?

Non mi viene in mente nessuna difficoltà, almeno a livello artistico e creativo, io ho il mio piccolo studio che è una piccola astronave da cui decollo quando voglio. In totale libertà e senza scadenze. Poi è stato il momento di Bert Lochs che ha suonato divinamente. Nel disco siamo solo io e lui e questa intimità era necessaria. Il disco è stato realizzato grazie a un amico musicista olandese che seguiva le registrazioni e mi ha imposto sostenendomi nella produzione esecutiva di stampare l’album, cosa che inizialmente non ero sicuro di voler fare. “Odd to love” ha esordito alla grande, senza nessuna promozione commerciale se non i concerti, è stato accolto in modo splendido.

Come nasce “I cannot dance upon my toes”?

Nasce in un pomeriggio di settembre, gli ultimi giorni d’estate con la mia chitarra acustica da “salotto” e un registratorino da “conferenza” sempre pronto. Il mio pollice comincia a fare una sorta di “slap” sul mi basso e arriva immediatamente la melodia, su un testo che avevo già scelto, sublime e tremendamente ritmico. Poi il primo passo in studio con quello slap che guida tutto il brano, e ha dato al brano la sua caratteristica… Bert in studio ha illuminato il tutto con la sordina…

Puoi raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

Chitarre acustiche, una Fender Telecaster e una chitarra classica da bambini con un suono meraviglioso, amplificatori Fender, Bert ha suonato tromba, flicorno ed eufonio. Qualche buon microfono e alcuni davvero pessimi…. Poi sintetizzatori analogici e ovviamente l’elettronica, il computer, mano d’opera e inventiva. Percussioni realizzate con materiale riciclato, xylofoni giocattolo il pianoforte e…. la mia voce.

Per la post produzione abbiamo allestito un piccolo studio in una casetta nelle campagne della Frisia in Olanda, prestataci da un amico. C’era un bellissimo atrio dove voci e fiati risuonavano in modo perfetto.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

La parola indipendente non mi dice più gran che, ormai preferisco parlare di musica che mi piace o non mi piace. Se il mainstream propone ormai quasi solo musica inascoltabile che gli italiani sopravvalutano per una grave mancanza di cultura, nel panorama indie si fa pochissima sperimentazione, si ha poco coraggio e si seguono noiosissime mode e miraggi attraverso canoni che a me personalmente risultano vuoti insipidi, non interessanti. Le etichette e gli editori poi agiscono come agivano le major anni fa: prendono tutto (gratis) e parcheggiano tutto per fare un po’ di spiccioli dal mucchio. Non esiste da noi un’altra cultura e ora nemmeno figure come produttori ispirati.

Mi vengono sugli artisti comunque dei nomi che mi va di citare come Marco Parente, Andrea Chimenti, Umberto Maria Giardini, Davide Tosches, Piccoli animali senza espressione, Deborah Petrina, She Owl, Theo Teardo e qualcuno che al volo certo dimentico. Questi sono tra gli artisti che preferisco.

Nelle loro idee sento sensibilità e intelligenza, coraggio e inventiva, quelle qualità che dicevo mancanti in moltissimi altri artisti, specialmente indipendenti, che si fanno guidare solo dal costume e da visioni ristrettissime e piccoli insignificanti successi…

Fabio Alcini – musictraks.com
https://www.musictraks.com/intervista-tenedlLink Intervistae-fatto-di-musica/

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