2011 Kult Underground

L’album Davide
Ciao Dimitri, è stato un vero piacere ascoltare il tuo ultimo lavoro, ma soprattutto scoprire che è uno di quei dischi che torni a riascoltare. Il che, nell’enorme quantità di musica che oggi si produce e ci incalza, immediatamente e gratuitamente disponibile, ho apprezzato più di tutto.
Come vi hai lavorato in questi quattro anni dal precedente Alter? Come sono nate queste canzoni, quale idea di fondo, quale fil rouge descriveresti al suo interno?

Tenedle
Intanto grazie per la bella introduzione, l’immediato mi interessa in realtà relativamente quando faccio un disco, il fatto che si farà ascoltare e riascoltare mi piace molto di più.
Grancassa è stato scritto in Olanda, dove ri-vivo da tre anni. Ho avuto il tempo, lo spazio e l’intimità per pensarlo e sperimentarne il suono. Direi che l’orizzonte, il guardare lontano e la solitudine, non necessariamente in senso negativo, sono alcuni elementi che mi hanno condotto durante la scrittura. Mi sono trovato più solo in spazi più ampi, ho osservato le cose, la natura e l’uomo e mi sono accorto delle distanze. Distanze che cerchiamo di colmare anche con la tecnologia, che invece spesso ci isola. Così è venuto fuori un disco sulla solitudine, condizione che ho sperimentato ma ripeto, in senso talvolta positivo, sentendomi a volte un monaco, un auto esiliato, un alieno. La musica ed il suono di Grancassa sono nati appena prima dei testi, nella mia piccola stanza affacciata sulle mille lucine dell’aeroporto di Schiphol a pochi chilometri da Amsterdam.

Davide
Il lavoro di ogni uomo, sia esso la letteratura, o la musica, o la pittura, o l’architettura, o qualsiasi altra cosa è sempre il ritratto di se stesso… disse Ralph Samuel Butler. Come ti ritrae dunque “Grancassa” e che tipo di esperienza pensi di avervi fatto e racchiuso?

Tenedle
Condivido, o sei dentro quel che fai oppure è un falso. La vanità, la cura, il gioco, ma soprattutto l’esperienza emotiva personale ed ogni volta che scrivi sono più i tormenti che i momenti d’esaltazione. È comunque sempre un confronto con se stessi e dopo con gli altri. Ogni cosa che scrivi è scelta, autobiografica o meno, fa o farà parte della tua esperienza vissuta, quindi la relazione è strettissima. Per me scrivere è necessario, e solo con la mia musica le mie opinioni sensazioni in un periodo diventano un vero linguaggio. Ho scoperto un modo salutare però, di parlare di me stesso senza prendermi troppo sul serio, quello di lasciarmi parlare. Naturalmente ciò che racconti di te deve essere accessibile in termini di riconoscibile, altrimenti te lo puoi tenere per te, quindi cerco di proiettare quello che entra o nasce dentro immaginandomi di essere un altro, un’altra, altri, immaginamdomi a cosa pensano (o spesso a cosa non pensano) i miei vicini, compagni di viaggio. La realizzazione di Grancassa ha preso tre anni della mia vita, le canzoni resteranno o forse no, ma il fatto personalmente è un segno indelebile, lo so ormai per esperienza.

Davide
Ascoltandoti ho avuto la sensazione di un legame compositivo profondo e profondamente rielaborato non solo con la musica nord europea di anni recenti, ma anche con i tardi anni Ottanta più raffinati (penso per esempio a The The o ai Prefab Sprout come nella tua “Ideale”), per quanto le sonorità siano ovviamente altre. Cosa ti è rimasto di quegli anni e dei Laughing Silence?

Tenedle
L’esperienza con i Laughing è stata davvero formativa oltre che estremamente creativa e divertente, appassionata come spensierata. Passavamo ore e ore ad ascoltare i Depeche Mode e poi in cantina a rifare quei suoni con i nostri synhts o campionare aspirapolveri di ogni marca, poi a far funzionare gli allacciamenti midi e riversare tracce sul nostro 4 piste. Ci sembrava normale vivere in cantina anche se i nostri amici e le altre band fiorentine di quel periodo ci credevano marziani, avevamo davvero già un suono spaziale e anche un buon seguito, si suonava molto a Firenze e anche in bei posti. Dopo un periodo in cui la canzone d’autore ed altre influenze musicali mi hanno creato non poche crisi esistenziali, tutto comunque estremamente utile, ho ripreso il percorso per me più naturale, la musica elettronica mi permette di fare ancora esperienze creative affascinanti e creare l’ideale ambiente per le mie canzoni. Lavorare ore e ore su suono e concetti è ormai una abitudine che ho sin da quei tempi credo. I Laughing mi hanno lasciato in eredità il metodo. Degli 80 forse mi è rimasto solo il sapore dell’ultimo periodo in cui la musica aveva un certo valore evocativo e formativo per un adolescente, ancora c’erano contrapposizioni nella società e nell’arte che stimolavano un senso critico e c’era spazio, tanto spazio per la musica, per questo forse, negli anni ottanta è stata prodotta ahimè anche tanta musica inutile e addirittura dannosa che poi ha preso il sopravvento.

Davide
Ti sei trasferito in Olanda nel 1995, dedicandoti dapprima alla pittura e alla musica strumentale. Posso chiederti il perché di questa scelta e perché, in particolare l’Olanda? Citando la tua “Lo stato in cui mi cerco”, è uno stato in cui ti sei cercato e cosa vi hai trovato?

Tenedle
Dal 1995 al 1997 ho vissuto in Olanda per la prima volta, isolato quasi da tutto, in un periodo in cui il web appena appena nasceva e la comunicazione avveniva via lettera, per fax o telefono. Ho scoperto un paese bello e differente dal mio, ma soprattutto allora, ho cambiato per certi versi immediatamente vita, venendo a conoscenza con arte, cultura, costumi nuovi. Rimasi affascinato e sarei rimasto li. Con Inge, la mia compagna, decidemmo di tornare in Italia dove siamo rimasti per 10 anni. “A casa” ho pubblicato i miei dischi e iniziato a dare forma a tutto, anche se con estreme difficoltà. Siamo tornati qui in Olanda nel 2008 ed ho iniziato a vivere di musica davvero. Niente è stato inutile specialmente la sofferenza. Trovo davvero attenta e inerente la citazione in questo caso de “Lo stato in cui mi cerco” è proprio il brano più autobiografico che abbia scritto ultimamente, ma se lo ascolti bene dice già tutto, cioè che “forse non c’è, anche se ancora non rinuncio al sogno”, questo vale sia per lo stato interiore che per il paese ideale e potrei auto citarmi dicendo “La terra è il mio pianeta, ma spesso qui mi sento alieno”. Non mi sento un italiano tipico, ma non sono nemmeno olandese, o forse, preferisco pensare di essere entrambe. Sono troppo difficile per sentirmi a mio agio in questo pianeta pieno di ingiustizie.

Davide
Olanda nonostante, i tuoi dischi li fai qui in Italia. Psicfreakbluesbus per la Interbeat, i lavori per la UDU, Luminal e Alter e quindi Grancassa… Perché hai scelto di cantare ancora nella nostra bellissima lingua e di non puntare il più possibile verso un mercato internazionale, come consentirebbe la tua musica, usando il solito inglese?

Tenedle
Tu stesso non esiti nel definirla “lingua bellissima”… Ecco perché non ci rinuncio. L’italiano è una lingua meravigliosa, ricca, forte eppure duttile, che ti permette di giocare continuamente. È la mia lingua, e anche se parlo e conosco sempre meglio l’olandese e abbastanza l’inglese, non smetto di trovare nella mia lingua tutto quello che mi serve per dare sfogo alla mia fantasia. Ultimamente poi ho scoperto “da olandese” una cosa “nuova” sul nostro idioma, il suo suono. Hai mai pensato che l’italiano ha un bellissimo suono? Beh, quando canto davanti agli olandesi che non capiscono le parole, mi accorgo che ascoltano molto volentieri anche il loro suono e mi diverto anche a “suonarle”. Pensateci, colleghi musicisti. Questo non vuol dire che in futuro non possa cimentarmi con la scrittura in altre lingue, vista la mia cittadinanza ormai europea.

Davide
Firenze, una delle città più belle del mondo, dove ovunque è Arte, cultura e storia ai livelli più alti. Ha influito in qualche modo esservi nato e cresciuto e in che modo?

Tenedle
Tutto è arte, cultura e storia a Firenze, hai ragione, storia passata però, un museo. Patrimonio dell’umanità ma palla al piede per gli artisti fiorentini. La città vive di rendita da secoli e ora grazie a questo è totalmente insensibile alla voce dei propri artisti. Il rinascimento è finito da tempo e non accenna a ripartire. Io sono fiorentino nel profondo, nel senso che ho ereditato dai nonni dei nonni dei miei nonni la “fiorentinità” . Credo che se c’è, se si può generalizzare, mi sia stato trasmesso quel carattere curioso e rispettosamente irriverente, ironico e direi sincero dei fiorentini. Dante, Michelangelo, Galileo, Pratolini, fino alle personalità del nostro tempo come Tiziano Terzani, Roberto Benigni, tutti più o meno fiorentini e tutte persone laiche, curiose, rispettose ma anche dissacratrici. Tutte o quasi tutte però, guarda caso, esiliate o emigrate. Mi ci metto anche io mentre aggiungo un’altra dote dei fiorentini, la modestia (ah ah). Firenze è bellissima sia chiaro, la più bella, e quando torno, se non penso a quel che ho affermato mi è sempre difficile ripartire. Da artista nato a Firenze devo dire che all’estero ti accolgono sempre bene….tutto fa.

Davide
Canzone d’apertura, Hikikomori… Un fenomeno che il Ministero della Salute giapponese ha per primo studiato e definito. La tecnologia, l’approccio virtuale alla vita non aiuta. Vale anche per la musica in casa di questi tempi sempre più rinchiusa?

Tenedle
Quello degli Hikikmori infatti non è un fenomeno così distante dal nostro nasconderci e rinchiuderci nelle nostre casette davanti alla tv o dietro false identità, identità truccate per essere esposte su facebook, sui siti per incontri o le varie second-life di turno. Sempre meno socievoli con i vicini, con gli stessi familiari, flirtiamo invece con gli sconosciuti, incapaci di comunicare. Non so se la musica subisca lo stesso effetto per colpa della tecnologia, l’arte è sempre stata anche solitudine, distanza critica dalle cose, a volte drammatica ma indispensabile per la creatività. Il momento solitario del creare si contrappone sempre a quello socievole del darsi, offrire la propria arte dopo, quello che hai detto o che hai da dire. Per il resto ho paura invece che si, la tecnologia ci renda tutti un pò Hikikomori. Bellissimi oggetti che ci permettono di ascoltare musica, scriverci mail e inviarci baci via sms ma che ci disabituano a guardarsi negli occhi e chiedersi “come stai dentro”?

Davide
Sei anche attore, regista, drammaturgo, autore di musiche per il teatro… In che modo incide la passione per il teatro nella tua musica?

Tenedle
Fermati! Sono abbastanza egocentri-fugo (e fiorentino) di mio da crederci fin troppo. Sono un apprendista, uno sfrontato che fa tutto con curiosità e sfacciataggine spesso. Ho fatto esperienze in ognuno di questi ruoli ma solo perché relativi alla mia musica, al ritmo dato dalla musica che scrivo. Sotto la “guida” della musica riesco ad affrontare anche questi mondi, ma resto un musicista, senza certo pormi limiti, visto il tempo che stringe, ma è la musica il filo conduttore. Il teatro mi piace, come mi piace il cinema, ma non lo conosco abbastanza. Credo comunque che sia ancora il luogo ideale e più moderno per “fare” sogni. Se ascolto la mia musica preferita lo faccio in cuffia e chiudo sempre gli occhi… quando li apro, sempre ascoltando la mia musica preferita, allora sono in un teatro.

Davide
In “Le cose infinite” si ascolta la voce campionata del poeta e drammaturgo Giuliano Scabia… Un omaggio?

Tenedle
Giuliano Scabia, un vero poeta e grande uomo, oltre che il padre di Marco Scabia, con cui suonavamo nei Laughing Silence, mi ha insegnato un sacco di cose che nonostante già quando ero adolescente mi affascinavano, ho capito emergere nella mia coscienza, e darmi forza, solo nel tempo. I miei incontri con lui, negli anni rari ma sempre preziosi, sono tra le ore più belle della mia vita, non so se lui lo sa, non ho neanche avuto il coraggio di fargli sapere del brano, per paura che non gli piacesse, eppure si, con i suoi libri sul mio comodino accanto a quelli di Emily Dickinson e pochi altri, quello che significa la gioia e la bellezza delle piccole cose, il gioco del bene e del male, dell’amore, la poesia, lo devo anche a lui.

Davide
Cosa vuol dire Tenedle?

Tenedle
Vuol dire “Dimitri”, in un alfabeto che pare discenda dall’aramaico e pare venisse usato dai carbonari.
Una storia curiosa iniziata da uno zio che introdusse in famiglia, al ritorno da un viaggio in Sardegna, questo modo di chiamarci. Non ti dico i nomi stranissimi a volte impronunziabili che venivan fuori in quel periodo.
Da quando io ho quattro anni uno dei miei nomi è Tenedle dunque. Niente di particolarmente complicato direi.

Davide
Parlaci di Sussuround. La possibilità odierna di autoprodursi consente libertà, ma rischia di essere nondimeno una esperienza auto-delimitante. Stai pensando di produrre anche altro dalla tua musica o l’hai già fatto?

Tenedle
È possibile, ne riparliamo quando comincerò a fare dischi o cose ripetitive, tienimi d’occhio mi raccomando. Per ora non c’è altra possibilità che l’autoproduzione, vantaggio e limite, certamente. Cerco di aprirmi al mondo ed altri orizzonti anche producendo dischi di gente molto diversa da me. Adesso non ho le risorse per fare di Sussurround una casa di produzione scegliendomi artisti da produrre ma vengo chiamato da band che hanno sentito i miei dischi e mi chiedono di produrre i loro. In Olanda sono alla mia prima esperienza con i Bender, a ottobre il disco sarà pronto, in olandese, un genere apparentemente lontano dal mio eppure, la magia della musica quando vale, stiamo lavorando con armonia e divertimento. Le altre mie produzioni in corso sono per il teatro e spesso le linee guida le dettano il regista o l’autore di turno. Qui impari credo a non chiuderti in te stesso.

Davide
Almeno qui in Italia non arriva granché dall’Olanda… Al brucio, dovessi dire dei nomi, me ne viene qualcuno dal passato… Sweelinck a parte, rammento i Focus e i Kajak, o i Sinister e i Golden Earring… Poco di più. E nulla o quasi del presente. Per il passato si dice che vi sia stata una scena musicale ricca ma poco presa in considerazione anche, e soprattutto, per colpa delle band stesse, incapaci di valorizzarsi a livello commerciale. Com’è la situazione invece per il presente? C’è qualche compositore o musicista o gruppo olandese che ci consiglieresti di scoprire?

Tenedle
Ci sono musicisti e band molto preparate e ce ne sono tante anche qua. Anche qua, quando fanno gli americani o gli inglesi mi interessano meno, quindi apprezzo di più gente che canta in olandese, che lascia trasudare suoni si contaminati e influenzati dal resto del mondo musicale, ma che hanno un carattere autoctono. Tra le cose che apprezzo di più ci sono Spinvis cantautore che sperimenta anche suoni, e un gruppo esordiente niente male di nome Roosbeef,. Da tenere d’occhio l’etichetta indipendente Excelsior. I fenomeni come Caro Emerald, Anouk e Ilse De Lange mi interessano poco. L’Olanda non mi pare un paese di grandi geni musicali con tutto il rispetto eppure è un posto dove c’è grande accesso alla cultura quindi la scena è viva e ricca. Le cose stanno cambiando, ma fino a ora è stato così, il ruolo della musica (anche quella importata) nella società olandese è sempre stato riconosciuto e ancora i musicisti anche “piccoli” hanno una loro dignità.

Davide
Perché Grancassa?

Tenedle
Uso sempre titoli, almeno fino a oggi, composti da una sola parola e stavolta ho trovato in Grancassa, senti anche solo che bel suono in bocca che ha, quella che rappresentasse elementi contenuti del disco. Lo strumento di strada che evoca, strumento popolare, che fa rumore, che risveglia. Suono presente dall’inizio alla fine e che associo al camminare, al pellegrinare e al battito cardiaco, di cui nell’album parlo più volte e in modo particolare in “Egocentrifugo”.

Davide
“Maledizione”, un blues alla David Sylvian (Midnight Sun), “Boomerang” rimanda a Röyksopp… E poi il pensiero va a tratti anche agli Air eccetera… Perché ami le atmosfere nordiche?

Tenedle
Non so perché io le ami, amo molta musica, amo Beethoven ma non ho mai pensato di comporre una sinfonia, amo Jobim ma non sono cresciuto a suon di Samba, e amo i Beatles alla follia ma in fin dei conti sono nato solo alla fine di quel periodo e in un altro posto. Mi appartiene come artista più la musica a me contemporanea pensando semmai al futuro che quella di ieri. Come hai detto tu all’inizio citando Butler questi suoni “sono me”, questo è il mio tempo e il mio linguaggio. Sono italiano, mediterraneo come i francesi Air si potrebbe dire, che fanno elettronica come me. Siamo europei. Credo che si possa considerare l’elettronica come una “world music” europea del futuro visto che la musica “mediterranea” è stata introdotta in Italia dal Nord Africa, dai Balcani e dal medioriente e non è nostra da sempre. La musica è il simbolo della contaminazione reciproca comunque e per fortuna, e questo mi fa pensare di avere il diritto di considerare l’elettronica come musica italiana. Direi che la ascoltiamo e la suoniamo più noi che gli olandesi stessi, qui a nord, ad esempio. Sulla letteratura e la melodia forse il discorso cambia e si fa più rigido, ma la musica non ha confini.

Davide
A proposito di ospiti. Tra i musicisti ospiti spiccano le trombe di Rocco Brunori (Bandabardò, Novonada) e di Manolo Nardi… Solo in un brano c’è un altro musicista, Dino Giusti, alle chitarre. Quindi, mancando altri strumenti ospiti, hai sicuramente privilegiato la presenza solistica della tromba. C’è un motivo particolare?

Tenedle
Non saprei quali strumenti ospiti manchino, meglio parlare di quelli che ci sono.
Io suono la chitarra acustica ed elettrica, il piano, le tastiere e la mia voce, poi c’è una notevole dose di musica elettronica e suoni dell’altro mondo. Non volevo trasformare il disco in qualcosa di totalmente diverso dall’idea iniziale. La scelta degli strumenti solisti, dalla tromba alle altre voci è stata assolutamente ponderata. L’apporto personale, le note e certe interpretazioni no, quelle hanno dato un carattere più estroverso al disco, grazie al talento, alla disponibilità e la sensibilità degli artisti che vi hanno partecipato. Non metterei nè un suono nè una nota in più solo per il prestigio di avere un ospite. Sono operazioni commerciali che avvengono spesso anche nella musica indipendente, che non sempre mi piacciono, Io penso sempre all’opera e ai colori e al suono che secondo me deve avere.

Davide
E poi la voce stupenda di Vanessa Tagliabue Yorke (Chicago Stompers) e delle cantautrici Marydim (Mariangela Di Michele) e Silvia Vavolo. Non semplici vocalist, ma autrici loro stesse. Cambia il modo di esserci e di interpretare?

Tenedle
Assolutamente si! Rispetto a quello che avevo immaginato quando le ho cercate, sono tutte e tre voci e personalità forti e diverse, le cose hanno assunto un carattere che amo definire più estroverso (come ho già detto) e inaspettato, eppure coerente grazie alle loro capacità. Io ho solo imparato . Anche dal vivo sono tre artiste di grande livello. È un gran regalo averle in questo disco.

Davide
La cura del suono… La musica aiuta a vivere un’esistenza migliore?

Tenedle
La mia di certo … e lascio la frase così, invitando chi legge all’esercizio, con tutte le diverse interpretazioni possibili.
Scherzi a parte credo che la musica, la pittura. le altre discipline artistiche, aiutino gli esseri umani a realizzarsi e a ritrovare pace ed equilibrio, quindi un mondo di persone che ha la possibilità di esercitare di più queste discipline, senza necessariamente pensare al capolavoro, è un mondo meno violento, perché meno materialista. Credo fermamente in questo.

Davide
Cosa farai adesso e cosa prepari per il futuro?

Tenedle
Presente presente, fatemi parlare del presente, che per il futuro ho già lasciato 4 dischi (ah!). Il mio “piccolo” giovanissimo Grancassa ha bisogno di cure e attenzione. Voglio suonare queste canzoni per almeno un paio di anni e presentare nel contesto delle mie performance anche i miei precedenti dischi e brani che volta volta escludo ma che rientrano dalle finestre.
Delle produzioni per il teatro e musica abbiamo parlato. È probabile che le collaborazioni nate negli ultimi anni mi portino a scrivere o produrre canzoni per i dischi di altri, poi ho in cantiere una piccola opera per bambini, tutta mia, “La terra sotto i piedi”, vediamo… Intanto giro con l’”Egocentrifugo” tra l’Olanda, l’Italia e probabilmente farò una capatina in Lussemburgo, in Belgio e in Germania. Non è mai abbastanza ma non è poco direi.

Davide
Grazie e… à suivre.

Tenedle
A te !

Kult Underground – di Davide Riccio

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